Può valere il principio etico “Non fare mai qualcosa che possa far soffrire altri”? Come orientamento nella ricerca di una risposta, provo ad articolare alcune sfaccettature del problema.
Posso provocare sofferenza senza avere l'intenzione di farlo oppure infliggerla intenzionalmente. La legge prevede pene diverse per alcuni danni inflitti a persone a seconda che ciò avvenga intenzionalmente oppure no.
La natura del danno e della sofferenza
Di che sofferenza si tratta? Di dolore fisico o danneggiamenti al corpo dell’altro? Di sofferenza morale per danni inflitti al patrimonio dell’altro o alla sua reputazione o alle sue relazioni o al suo amor proprio o alla sua libertà, o magari solo ad aspettative deluse e desideri frustrati? Quanto durerà questa sofferenza e quali segni lascerà?
Danno diretto e danno indiretto.
Non si può dire, in linea generale, che ci siano sofferenze che gli altri patiscono perché noi non facciamo, intenzionalmente o meno, ciò che loro avrebbero voluto o pensato - e che in questo senso dipendono in gran parte o completamente da loro, sono fuori dalla nostra responsabilità - e altre sofferenze che altri patiscono perché noi siamo intervenuti direttamente sul loro corpo, sui loro beni o sulla loro dignità e reputazione e di cui siamo direttamente responsabili? Nel primo caso l’altro soffre per una cosa che non è stata fatta “a lui”, ma che indirettamente si ripercuote su di lui. Se io mi siedo sull’ultima sedia disponibile e arriva una persona che avrebbe voluto sedersi lì, la sua “sofferenza”, la sua delusione, non è responsabilità mia. Se io per sedermi spingo le persone a destra e sinistra e in questo modo le faccio irritare, il loro disagio è responsabilità mia.
Conoscenza della sofferenza dell’altro
In parte non si può sapere che cosa farà soffrire gli altri, si possono solo fare supposizioni al riguardo - a meno che gli altri non ci informino. Un conto è compiere azioni sapendo con certezza che faranno soffrire, altro è astenersi da certe azioni perché si presume possano far soffrire. Poiché non si può mai escludere a priori che una mia azione o omissione possa far soffrire qualcuno, si rischia la totale confusione. Potrebbero esserci persone che soffrono di ciò che io faccio o non faccio e io potrei non saperlo e non immaginarlo neppure. Dovrei sempre chiedermi se da qualche parte c’è qualcuno che sta soffrendo di ciò che io sto facendo o non facendo? Per orientarmi uso la mia sofferenza come criterio guida nel prevedere che cosa potrebbe far soffrire.
Difetto del criterio dell’immedesimazione
Poiché non si può mai escludere a priori che una mia azione possa far soffrire qualcuno, si rischia la paralisi, specialmente se sono particolarmente sensibile o se voglio eliminare ogni sofferenza dalla mia vita. Se io sono una persona molto sensibile rischio di considerare nocive mie azioni che per altri non lo sono o di sopravvalutarne la nocività. Se io voglio escludere dalla mia vita la sofferenza, posso pensare che anche gli altri vogliano lo stesso, mentre altri potrebbero accettare più tranquillamente l’idea che ci sia sofferenza nella loro vita.
Atti con ripercussioni opposte
Ci possono essere casi in cui A soffre se fai una cosa e B soffre se non la fai. Come regolarsi? Gli uomini A e B desiderano la stessa donna. Se la donna esce con B, A soffre. Se esce con A, B soffre. (Tra l’altro, qui, se poi la donna non esce con nessuno dei due, soffrono tutti e due, e se esce con tutti e due, potrebbero soffrire di gelosia tutti e due - se vengono a saperlo.)
Il bene superiore
Un conto è compiere senza una buona ragione delle azioni sapendo che faranno soffrire; altro è compierle per una buona ragione, per un bene superiore. La cancrena di un arto sembra essere una buona ragione per infliggere le sofferenze connesse all’operazione di amputazione e alla menomazione conseguente, in base al presupposto che la sopravvivenza sia un bene più alto dell’assenza di quelle sofferenze. Per educare un bambino occorre infliggergli molte sofferenze, per evitarne altre a lungo termine che appaiono più gravi al genitore. Affinché io possa frequentare le persone che mi interessano, può essere necessario che io deluda persone che vorrebbero frequentarmi e che mi interessano meno. Chi giudica qual è il bene superiore di caso in caso?
Prospettive diverse che si incontrano
È possibile evitare ogni conflittualità nell’incontro con l’altro?
Adeguamento al desiderio di altri su di noi
L’altro potrebbe soffrire del fatto che io non sono come vorrebbe che io fossi. Dovrei mutare per accontentarlo? La risposta sarebbe diversa se tale cambiamento mi costasse molto oppure non mi costasse un granché?
Dilemmi
Supponiamo che, se faccio una certa cosa, causo sofferenza a una persona e se non la faccio soffro io, e supponiamo che la sua e la mia sofferenza siano in qualche modo equivalenti per grado o gravità. Meglio che soffra quella persona o che soffra io?
Supponiamo che ci sia una persona che soffre di cose che io faccio, anche di cose che normalmente secondo me non fanno soffrire gli altri, e di non poter interrompere la relazione con quella persona. Come mi comporto?
Supponiamo che ci sia una persona che soffre di cose che io faccio, anche di cose che normalmente secondo me non fanno soffrire gli altri, e di non poter interrompere la relazione con quella persona. Come mi comporto?
Etica codificata nel diritto
Supponiamo che qualcuno soffra di azioni che è mio diritto compiere, un diritto sancito da leggi o regolamenti. Devo astenermi dal compierle?
Annientamento
Si può giudicare male il leone perché sbrana l’antilope o un altro animale per mangiarlo (il serpente che mangia il topo, il pesce che mangia la larva ecc.)? Supponiamo che la risposta sia del tipo: “No, perché è nella sua natura; non conosce, e non può conoscere, altro modo per nutrirsi e sopravvivere”. Se la risposta è questa, si ammette che abbia diritto di dare alla propria vita più valore che a quella dell’antilope. (Supponiamo che ci siano due animali carnivori che lottano per mangiarsi a vicenda; ognuno, in base alla risposta precedente, avrebbe il diritto di uccidere e mangiare l’altro.) Supponiamo invece che la risposta sia: “Sì, il leone sbaglia e va condannato, piuttosto che uccidere un altro essere vivente dovrebbe morire di fame”. In tal caso i leoni sarebbero un errore della natura e si estinguerebbero. In tal caso, pur di non commettere un’azione sbagliata, il leone dovrebbe cessare di esistere. Il leone sarebbe ucciso dall’etica, per risparmiare la vita delle sue prede. Ci sarebbero comunque dei morti: non le antilopi bensì i leoni. Non avrebbe senso. Sarebbe comunque una violenza. Si può forse dire che ciò che è naturale è etico.
Volontà personale
Qualcuno dice: “La natura dell’uomo è la cultura”. Andiamoci piano. L’uomo può decidere cosa mangiare, bere, dove ripararsi, come difendersi, come vestirsi, con chi e come accoppiarsi… ma deve comunque mangiare, bere, ripararsi, difendersi, vestirsi, accoppiarsi (solo quest’ultima necessità è per la sopravvivenza della specie anziché dell’individuo). È nella natura dell’individuo partire dall’impulso di assecondare la propria volontà e poi, se necessario, mediare. Anche in ambito interpersonale. Se non fosse così, ognuno darebbe priorità alla volontà dell’altro, aspetterebbe la proposta dell’altro, e non succederebbe niente! Chiamalo volontà di potenza, chiamalo assertività, chiamalo vitalità o come vuoi. Se il genitore non imponesse la propria volontà al figlio, come potrebbe prepararlo alla vita? Se il capo non imponesse la propria volontà ai sottoposti, come potrebbe guidarli? Se l’amante non prendesse l’iniziativa sessuale, esprimendo il proprio gusto e il proprio piacere, l’amato come potrebbe sentirsi tale (entrambi sono amante e amato)?
Un principio etico superiore
- Nelle coppie ci sono spesso lamentele per mancanza di iniziativa dell’altro. Non è facile e non è bello avere a che fare con una persona senza iniziativa, senza opinioni, senza posizioni chiare. Davanti a una persona così ci si sente soli. Una persona che esprime chiaramente la propria volontà aiuta anche l’altro a chiarire la propria.
- Se la spinta ad affermare la propria volontà viene troppo repressa, poi dirompe e fa soffrire più persone.
- Molte persone incontrano difficoltà e fatiche nell’adattamento alle situazioni sociali, per cui diventa per loro necessario alternare solitudine e compagnia per poter continuare a evitare sofferenze ad altri.
Non c’è in definitiva un principio etico superiore a “non far soffrire”, che può essere formulato grossomodo nei termini di “agisci secondo la tua volontà”? “Non far soffrire” sarebbe allora una limitazione di questo principio prioritario (e forse “naturale”). Una limitazione che deve entrare in gioco in alcuni casi ed entro certi limiti.
La guerra
Purtroppo, davanti all’ennesima guerra, gli storici non si stupiscono affatto. E nelle guerre che ho sotto gli occhi io, quelli che rischiano la vita in combattimento non sono gli stessi che hanno voluto la guerra - vengono persuasi da quelli. La violenza non si esprime solo tra le parti belligeranti ma anche all’interno delle parti, tra chi la guerra l’ha voluta e chi la combatte.
Purtroppo, davanti all’ennesima guerra, gli storici non si stupiscono affatto. E nelle guerre che ho sotto gli occhi io, quelli che rischiano la vita in combattimento non sono gli stessi che hanno voluto la guerra - vengono persuasi da quelli. La violenza non si esprime solo tra le parti belligeranti ma anche all’interno delle parti, tra chi la guerra l’ha voluta e chi la combatte.
(c) Gabriele Lo Iacono, 2025