Nella coppia la persona più consapevole e coscienziosa è svantaggiata rispetto al partner. Essa prima è divisa: accanto alla motivazione ad affermarsi (la sua volontà) ha una coscienza che le si contrappone, dicendo: “Non è giusto essere egoisti!". Il partner si allea con la sua coscienza e mette in minoranza la sua motivazione all'affermazione di sé - cioè la persona stessa.
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La persona convinta che esista sempre un altro modo di capire le cose sarà quella più pronta a vedere le cose dal punto di vista dell’altro.
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L'unico modo per essere se stessi è essere a volte egoisti, incontentabili, ingiusti, capricciosi, contraddittori. Non si può essere non egoisti. Non puoi dirti “Non fare quello, è da egoista”, altrimenti ti smarrisci e ti paralizzi. Nel senso che questo non può essere un principio etico che ti governa. Infatti non può stare che a te soltanto rappresentare "i tuoi interessi" nelle relazioni, esserne il portavoce, cercarne l'affermazione, qualunque essi siano. E in ogni caso, anche da egoista ("relativo" - l'unica possibilità che ti è concessa) non sarai in armonia, nel senso che non avrai risolto le contraddizioni in te.
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Se dovessi astenerti dall'incominciare una relazione perché vedi già quello che in essa ti sarà difficile da sopportare, non incominceresti mai una relazione. Se pensi che sia ingiusto cominciare una relazione pur avendo delle riserve sulla persona o sulle vostre possibilità di stare "piacevolmente" insieme, essendo tu bisognoso di giustizia, non dovresti mai iniziarne una.
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Se pensi che una "relazione" non debba farti a un certo punto soffrire, non dovresti iniziarne mai una. Arriva sempre la resa dei conti: essere lasciati; lasciare e poi sentire inevitabilmente la sconfitta, la mancanza, la nostalgia di ciò che appartiene solo a un passato, la colpa per avere fatto soffrire; continuare a sopportare troppi fastidi, delusioni, incomprensioni...
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Una compagno o una compagna non potranno mai essere sufficienti a sedare ogni tua inquietudine. L'inquietudine si rinnova continuamente dentro di te.
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In mezza giornata si può passare dall'insofferenza totale al piacere sincero e alla gratitudine di essere semplicemente con l'altro. Che cosa succede in mezzo?
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Ognuno dei due vorrebbe essere al primo posto nelle priorità dell'altro e nessuno dei due mette l'altro al primo posto.
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Non si può mai fare a meno di giudicare o di essere giudicati.
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Trovare un compagno o una compagna non è la soluzione ai propri mali. È solo la soluzione per alcuni mali e la fonte di altri mali. Comunque, avere un compagno o una compagna è qualcosa che nell'esperienza ha l'aspetto di una necessità. E permette di vivere dando meno peso alle cose che capitano e che si fanno (ma anche più peso, nel senso di essere più presenti ad esse) perché “si sa“ (in realtà se ne ha solo una tenace illusione) che quello "non è tutto", che c'è una realtà "bella" o "appagante" che ci aspetta altrove. Ci si sente "portati”, sostenuti. Quando si pensa che il rapporto sia finito, invece, tutto appare più difficile - tutto sembra rivelarsi nella sua limitatezza… Sono comunque dei cicli: a volte essere "con qualcuno”, invece di "portare”, "tira giù".
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Se capisci che lei/lui "non ti piace più", per così dire, non osi ammetterlo a te stesso/a perché verrebbe da sé che dovresti ammetterlo anche davanti all’altro. Ti sentiresti scorretto/a ad avere "approfittato" di una persona che accetti solo in parte, con cui saresti sempre sull'orlo dell'abbandono tanto è debole l'attrazione - in realtà tu non conosci le leggi dell’attrazione; non puoi prevedere l’evoluzione del sentimento di attrazione; ti stupisce sempre! Stai di fronte a lei/lui pensando: "Non mi piace più! Aiuto, non la/lo sopporto!". Vorresti essere altrove. Come dirglielo? Non puoi. Se glielo dicessi, pensi, per lei/lui sarebbe un'offesa inaccettabile, una ferita intollerabile che non vorrebbe e non potrebbe superare. Devi essere assolutamente certo che sia così, che l'attrazione si è esaurita, altrimenti potresti ritrovarti ad avere bisogno di lei/lui e non poterlo/a né vedere né sentire più. Allora, approfitti delle ingiustizie che commette, quelle che lui/lei può riconoscere come tali, per dirgli/le che è stronzo/a e allontanarti fingendo che sia colpa sua. Ma va bene così. Per ora è il male minore. Fortunatamente lui/lei ha la "coscienza sporca" e ti lascia fare la tua manovra diversiva - o chissà quali altri giochi sta facendo lui/lei, che tu nemmeno immagini. Non ti interessano, non ti servirebbe a nulla conoscerli.
"Se glielo dicessi, pensi, per lui/lei sarebbe un'offesa inaccettabile, una ferita intollerabile che non vorrebbe e non potrebbe superare”. Chissà invece quanto potrebbe sopportare ancora! Magari molto, molto di più! Stai scoprendo quanto sono dure a morire le relazioni "amorose". Per interrompere una relazione non dev'esserci niente più da salvare!
In questo primo interessante gruppo di riflessioni, noto che mi pare troppo forte asserire che comunicare al partner che non ci piace, o non ci piace più, sarebbe senz'altro un'offesa intollerabile.
RispondiEliminaPenso che in generale lo sia, se il partner è impegnato nella relazione, se si fida dell'altro e si affida a lui, se è proiettato verso una relazione "eterna" con l'altro. Una comunicazione di questo tipo - non mi piaci più, fatico a sopportarti - rischia di minare definitivamente la fiducia... Se due persone stanno nella relazione "con un piede dentro e uno fuori", naturalmente è diverso...
EliminaIntendo dire che bisogna vedere che tipo di legame unisce i partner. Alcuni rapporti nascono per essere consensualmente evanescenti, e possono interrompersi senza (eccessivo) dolore. In altri casi, la chiarezza del "non mi piaci", se non associata a disprezzo e svalutazione, può causare dolore, ma non dolore insopportabile. La mia esperienza dice che una rottura può essere triste senza essere catastrofica.
EliminaIl primo degli aforismi mi sembra connotato in modo decisamente cinico, quasi disperato. L'ipotesi sembra essere che nella coppia il partner meno consapevole si possa alleare con la parte autocritica dell'altro per trarne vantaggio. Questo può accadere in una coppia disfunzionale. La visione cinica delle relazioni sembra implicare che nel rapporto vi sia sempre e comunque qualcuno che vince e qualcuno che perde, e che chi vince vinca nell'esatta misura in cui l'altro perde.
RispondiEliminaQuell'aforisma, come dice il titolo del blog, parla di un aspetto oscuro dei rapporto amorosi. Oscuro sia nel senso che non è brillante, luminoso nel senso di positivo, bello, sia nel senso di non immediatamente percepibile. Credo che una dinamica di questo tipo sia perlopiù inconscia per entrambi gli attori. La mia osservazione si riferisce a una situazione in cui ci sono volontà contrastanti su uno stesso punto, a una situazione di conflitto. Quindi, sì, c'è uno che vince e uno che perde, in quella situazione. Non intendo affatto dire che in TUTTE le relazioni c'è SEMPRE uno che vince e uno che perde. Intendo dire che in tutte o quasi le relazioni ci sono momenti di conflitto in cui può verificarsi il fenomeno accennato nell'aforisma senza che gli attori ne siano consapevoli...
EliminaLa mia personale esperienza tuttavia suggerisce che la situazione di conflitto stessa è generata da una visione win-lose del rapporto. L'ipotesi che una differenza di vedute su uno stesso punto debba sfociare nell'imposizione o nella rinuncia sottende una concezione conflittuale del rapporto.
RispondiEliminaNella mia esperienza, per esempio, le persone sono spesso abituate a giudicare (sé stessi e gli altri). Hanno confidenza con questa modalità. Perciò faticano a comprendere la differenza tra un "suggerimento" (di fare o non fare) e un "giudizio" (su ciò che si è o non si è). Essere talvolta "egoisti" fa senz'altro parte della fallibilità umana. Il sé "egoista" e chiuso come una monade all'altro mi pare però più un costrutto teorico (del capitalismo) che un dato metafisico. Io credo che l'uomo sia anzitutto aperto, non egoista. La chiusura egoistica mi pare il risultato di una costruzione teorica, una ideologia, insomma (che talvolta influenza il modo di interpretare gli eventi e di reagire ad essi.
RispondiEliminaBtw, grazie per le precisazioni e per lo stimolante dibattito
RispondiEliminaAnzi, mi pare importante aggiungere una riflessione sul tema del naturale egoismo. La mia esperienza e le mie riflessioni suggeriscono che tutti noi siamo anzitutto apertura e socialità, non individui isolati. L'isolamento sarebbe in questo quadro una disavventura, in parte individuale, in parte storica, il cui riflesso teorico è "l'egoismo", vissuto emotivamente come ripiegamento "narcisistico", concentrazione sui propri interessi e sull'utile. Ma se si parte da una visione di noi come individui isolati ed egoisti, non riusciremo né a vivere, né a spiegare i nostri rapporti: la frattura non potrà essere sanata. I momenti egoistici e la necessità di rappresentare gli interessi della propria parte possono essere momenti di una relazione, ma due individui che si concepiscono di base come isolati e contrapposti troveranno sempre la mediazione troppo faticosa, gli interessi inconciliabili, i conflitti inevitabili, ecc. In una visione opposta, invece, gli "interessi inconciliabili" sono il risultato di un irrigidimento, non un punto di partenza. Perciò la mediazione è possibile e non necessariamente onerosa.
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