La noia e la paura della novità


La paura e lo stress possono indurre a ricercare la quiete. La casa in un certo senso è il simbolo di questa calma ristoratrice. Quando si chiude la porta di casa, si stacca il telefono e si decide di non rispondere a nessuno, ci si chiude in un guscio protettivo. Il massimo è chiudere anche le serrande. Il buono è tutto dentro, la fatica e la sofferenza restano chiusi fuori, con le luci, le parole, il movimento, gli impegni e i rumori. In casa tutto è fermo e silenzioso, tutto è noto e benigno. C’è l’ambiente ideale per ristorarsi: cibo da mangiare, un letto morbido dove accoccolarsi. Si può seguire il filo dei propri pensieri, analizzare ciò che all’esterno ci ha travolto. Si può iniziare un libro e richiuderlo, accendere la TV e cambiare canale, se gli stimoli diventano eccessivi. Per questo il vicino rumoroso diventa un mostro. 


Anche la routine ha questo effetto riposante. I rituali e le azioni che si ripetono quotidianamente allo stesso modo creano un mondo prevedibile in cui non dobbiamo scegliere e decidere cosa fare, come reagire alle sollecitazioni esterne. La routine, liberando dalla necessità di ragionare e decidere, mette a nostra disposizione delle risorse psicologiche che possono essere utilizzate in altri generi di lavoro. Ci si può quindi applicare ai propri impegni prioritari: lo studio o il lavoro innanzitutto ma anche la soluzione di un problema interpersonale o personale irrisolto.


Ma come ristora, la quiete può opprimere. La noia è frutto della stasi, di una quiete eccessiva che comincia ad assomigliare alla morte. Una vita che sembra non riservare più nulla di nuovo comincia a perdere senso. A lungo andare ci si impigrisce, ci si indebolisce, viene meno il senso di vigore intellettuale. Se i giorni trascorrono uno uguale all’altro, pare di sprecare la propria vita. Può nascere allora un desiderio di ignoto. 


E, come l’eccesso di protezione, anche l’eccesso di novità porta a un senso di annichilimento. Qui però prevale sul vissuto di svuotamento e di inutilità quello di frammentazione interiore, di perdita della propria identità. La necessità di rispondere alle sollecitazioni esterne, a ciò che gli altri o la vita richiedono da noi, ci toglie il tempo e le energie necessarie per rispondere alle esigenze che nascono dall’interno. 


Una situazione nuova e sconosciuta crea momenti di spaesamento: il primo giorno di scuola o di lavoro, un cambiamento di mansione, l’arrivo in un Paese nuovo con usanze e idiomi diversi, il primo approccio con un nuovo sport, il primo giorno di convivenza con un’altra persona... Tutto ciò può dare entusiasmo per un po’ ma poi genera stanchezza perché continua a richiedere concentrazione e impegno. Specialmente quando si è stanchi e confusi, il fatto di dover fare qualcosa senza sapere di preciso che fare e come farlo può mandare in ansia. È la sensazione che si potrebbe provare, per usare un’iperbole, trovandosi soli a provvedere a se stessi in un posto popolato di esseri irriconoscibili, con elementi ambientali indecifrabili. Tutto ciò sarebbe vissuto come una minaccia. 


Un ambiente tranquillo senza distrazioni facilita la concentrazione; si trovano le risorse interiori migliori per creare e produrre. Ma arriva un momento in cui la creatività e la produttività, per alimentarsi e continuare a funzionare, richiedono lo svago, la distrazione, sollecitazioni esterne impreviste. Non cadere in una delle due situazioni estreme è difficile, anche perché il giusto equilibrio non dipende solo da noi. Come non ci possiamo facilmente sottrarre ai nostri impegni sociali, non è facile trovare qualcosa che possa risollevarci da un periodo di chiusura eccessiva, specialmente quando un ritiro troppo prolungato ci fa perdere fiducia nelle nostre capacità. Come è successo a qualcuno sotto il lockdown per la pandemia di Covid-19.


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