Del bisogno umano di trascendenza


Poco tempo fa ho letto questo splendido brano di Viktor Emil Frankl, lo psicologo e neuropsichiatra viennese che invitò gli psicologi a non occuparsi solo del "profondo" ma a considerare anche la caratteristica aspirazione umana all'alto e la necessità di dare un senso alla propria vita coltivando la spiritualità:

quella fondamentale caratteristica ontologica dell'esistenza umana, che indicherei come auto-trascendenza dell'esistenza, secondo la quale ogni essere umano è proiettato oltre se stesso nel momento in cui rimanda a qualcosa che non è se stesso: qualcosa - o qualcuno! In altre parole, nel profondo e in definitiva l'uomo non è interessato a stati d'animo interiori, siano essi il piacere o l'equilibrio, ma è orientato verso il mondo, il mondo esterno, al cui interno cerca un significato da realizzare o una persona da amare. E sulla base di tale autocomprensione ontologica pre-riflessiva egli sa in un certo senso che realizza se stesso nella misura in cui dimentica se stesso; ed egli dimentica se stesso proprio nella misura in cui si dona: a una causa (che serve) o a una persona (che ama).

Queste parole mi richiamano quello che io scrissi quasi quindici anni fa per una piccola rivista locale:

Ecco, forse la felicità più grande per me in questo momento è poter essere sedotto. Preferisco essere sedotto piuttosto che sedurre. Sedurre è in sé sterile ... le conferme mi lasciano immutato, anzi, mi consolidano. E l'urgenza più grande è rinnovarsi. L'avere sedotto riporta al pantano di sé; l'essere sedotti porta fuori. 

Quel che mi seduce dà unità, forma e armonia al caos che è in me, orientandomi all'esterno. È bello avere chiaro quel che piace e si desidera. Ci si può cullare nei sogni. Ci si sveglia pieni di desideri. Un musicista, uno strumento musicale, uno sport, una materia da forgiare, un paesaggio dalle forme e i colori incantevoli, un piatto succulento, una persona nuova e diversa che facciano vibrare in me corde silenti e che mi portino fuori dai sentieri consumati sono un richiamo alla vita.

Vorrei essere sempre sedotto da qualcosa o da qualcuno, ne ho bisogno. Cedo volentieri al richiamo del pifferaio magico.


Sempre a questo proposito, ho letto proprio ieri alcune pagine della Gaia scienza di Friedrich Nietzsche e mi ha colpito la sua formulazione di un concetto che ha a che fare con questo tema (nell'aforisma 14):

Poco per volta proviamo fastidio per ciò che è vecchio, posseduto in tutta sicurezza, e ritorniamo a tendere le mani; perfino il più bel paesaggio, dove abbiamo vissuto per tre mesi, non è più certo del nostro amore, e un qualche lido lontano attira la nostra cupidigia: il possesso viene per lo più diminuito dal possedere. Il piacere di noi stessi vuole mantenersi in vita, trasformando sempre ogni volta in noi stessi qualcosa di nuovo - questo appunto significa possedere. Essere sazi di un possesso vuol dire essere sazi di noi stessi.


www.gabrieleloiacono.it