Essere per gli altri è sicuramente una fonte di senso e felicità nella mia vita, per quanto non sia mai riuscito nella concretezza ad amare stabilmente il mio prossimo a prescindere da quello che egli fa al suo prossimo.
Mi consola per questo mio insuccesso Abraham Joshua Heschel (Chi è l'uomo?, SE, Milano, 2018) quando spiega che l'umanità ha inizio nell'uomo singolo e che ci riferiamo sempre a un uomo singolo quando promettiamo: "Con astio contro nessuno, con benevolenza verso tutti" o quando cerchiamo di mettere in pratica la massima: "Ama il prossimo tuo come te stesso”.
“Il termine genere umano, che in biologia indica la specie umana", spiega Heschel, "ha un significato totalmente diverso nel regno dell'etica e della religione. Qui il genere umano non viene concepito come specie, come concetto astratto, separato dalla sua realtà concreta, ma come una moltitudine di individui specifici … Certo, il bene di tutti conta più di quello del singolo, ma è l'individuo concreto che conferisce un significato alla razza umana” (pp. 75-76). E arriva perfino a scrivere: "Noi non riteniamo che un essere umano abbia valore in quanto membro di quella razza. È vero semmai il contrario: la razza umana ha valore in quanto è composta da esseri umani”. Sono quindi autorizzato a dedurre che il membro della razza umana che non si comporta da essere umano, ha meno valore?
Heschel mi consola anche quando scrive che in ogni caso sarebbe una volgare presunzione asserire che la vita consista nel dedicarsi agli altri, nell'incessante servizio in favore del mondo, poiché ciò che siamo in grado di dedicare agli altri “è generalmente meno di una semplice decima”.
Trovo bellissime e illuminanti alcune sue parole a proposito dell’essenza dell’essere uomini. Esse dicono del nocciolo del nostro essere al mondo in relazione ai bisogni e ai piaceri. "Esiste qualche segno da cui si possa comprendere che la nostra esistenza non è riducibile al solo esistere?" si domanda. Un problema che rileva, infatti, è che l’uomo non si accontenta di essere vivo, ma è assillato dalle domande intorno a come vivere. E poi scrive alcune considerazioni in proposito che mi commuovono profondamente per la loro profondità e verità.
Gli animali si limitano ad appagare i loro bisogni; all'uomo invece importa non solo di essere appagato, ma anche di poter appagare, di essere un bisogno e non semplicemente di avere dei bisogni. I bisogni personali vengono e poi passano, ma rimane un dubbio: "Sono necessario?”. Non vi è uomo che non sia stato scosso da questa domanda.
È estremamente significativo che l'uomo non basti a se stesso, che la vita non abbia alcun significato per lui se non serve a un fine che la trascende, se non ha valore per gli altri (p. 73).
E qualche pagina sotto:
Tuttavia, malgrado il suo modo strumentale di pensare, l'uomo pretende che gli altri lo considerino non per il valore che può avere per loro, ma per come un essere che ha valore in se stesso. Anche chi non si considera un fine assoluto si ribella all'idea di venire trattato come strumento per un fine, utile agli altri (p.75).
Poi fa un'osservazione di assoluta, urgente attualità: la seconda massima di Kant - cioè non servirsi mai degli esseri umani come puri mezzi, ma considerarli anche come fini - suggerisce il modo in cui una persona dovrebbe essere trattata dagli altri non quello in cui dovrebbe trattare se stessa. Infatti, se una persona si ritiene un fine in sé stessa, inevitabilmente sarà portata a usare gli altri come mezzi. Agli occhi di colui che consideri se stesso come un fine assoluto, migliaia di altre vite non potranno mai valere quanto la sua.
Analizzando una mente ottusa, si scopre che è dominata dallo sforzo di adattare la realtà alla misura del proprio io, come se il mondo esistesse allo scopo di piacere all’io di ciascuno. Noi ci rapportiamo maggiormente con le cose che con le persone, e generalmente trattiamo gli altri come oggetti, strumenti, mezzi da usare per i nostri fini egoistici. Quanto è raro rapportarsi a una persona in quanto persona! Siamo tutti dominati dal desiderio di prendere, di possedere. Solamente un uomo libero sa che l'autentico significato dell’esistenza consiste nel dare, nel provvedere, nell'incontrare l'altro, nel soddisfare i bisogni più alti (p. 77).
Posso dire che la mia esperienza conferma ciò che afferma Heschel: il miglior modo per sfuggire alla disperazione è di essere una necessità anziché un fine. La felicità può infatti definirsi come la certezza di essere necessari. "Diversamente da tutte le altre, la necessità di essere necessari spinge più a dare che a ottenere appagamento. È il desiderio di realizzare un desiderio trascendente, la brama di rispondere a una brama".
Tutte le nostre esperienze sono dei bisogni, che svaniscono quando sono stati realizzati. Ma in verità la nostra stessa esistenza è un bisogno. Quel che dura nella nostra vita non è la passione, né il piacere, né la gioia, né la pena, ma la risposta a un bisogno. Non dura il desiderio, ma la risposta che diamo a quel bisogno. I nostri desideri sono temporali, mentre il nostro essere necessari è duraturo (p. 77). Mentre di nessun altra cosa l'uomo è così profondamente certo come della temporalità dell'esistenza, di rado riesce a rassegnarsi al ruolo di mero impresario di desideri (p. 78).
(c) Gabriele Lo Iacono, 2024