Che cos’è il senso della mancanza del proprio valore personale?
Un senso di delusione di sé nelle sue varie gradazioni che può arrivare al disprezzo, al disgusto, alla nausea, all’odio di sé. Può essere anche un senso di stanchezza di sé, di tedio per se stessi, di fastidio, di insofferenza. Tradotto in parole può suonare come “Sono un pezzo di merda, un rifiuto, faccio schifo, non ho alcun pregio, non ho mai combinato niente di buono, ho fatto solo danni, sono sgradevole e nocivo/a, farei meglio a sparire”. Se prevale la stanchezza di sé, “Non ne posso più di me stesso, di sentire i miei pensieri e la mia voce”.
Il contrario del senso di mancanza di valore è l’orgoglio, la soddisfazione di sé. La giusta misura sta nel non porsi affatto il problema del valore personale in termini generali.
Quali conseguenze ha il senso della mancanza del proprio valore personale?
Porta al collasso psicologico, alla perdita di ogni motivazione ed energia. La vita richiede l’autoconservazione (la volontà di vivere) e forse persino l’autoaffermazione (la volontà di potenza). Se una persona assume un atteggiamento ostile nei proprio confronti, finisce presto per sabotare la propria vitalità. L’aggressione rivolta a se stesso dall’individuo che è ostile a sé, che si detesta e si fa schifo, può arrivare, con la costanza e l’insistenza, al suicidio psicologico, cioè alla paralisi nel provvedere al proprio bene o persino all’intraprendenza nel procurarsi il male, con la punizione di sé. Per provvedere al proprio bene occorre considerare se stessi - o, meglio, dare per scontato di essere - meritevoli di bene, degni di bene, degni delle proprie cure, degni di proporsi agli altri con la propria voce, il proprio corpo, le proprie azioni, le proprie idee.
Quando una persona sta bene, né si disprezza e si aggredisce, né si gloria e si autoincensa. Esprime invece la propria vitalità cercando il proprio bene, inseguendo ciò che le piace, cercando per sé presso gli altri ciò di cui ha bisogno senza eccedere nel protagonismo, senza imporsi eccessivamente, senza proporsi solo come persona da osservare e ascoltare, e senza, dal lato opposto, censurarsi preventivamente nella previsione di una critica o di un rifiuto (che si è convinti o si teme di meritare).
Nell’esperienza comune, da che cosa deriva la sensazione di non valere?
Quelle elencate di seguito sono solo alcune delle circostanze in cui può nascere il problema “del sé che non vale”. Qui non sono contemplate tutte le possibilità.
- Essere ignorati, trascurati o persino aggrediti verbalmente o fisicamente (anche sessualmente). È come se ognuno facesse proprio il giudizio che, di fatto o presumibilmente, ha dato l’altro, se è arrivato a ignorare, trascurare o aggredire. L’isolamento sociale, per quanto possa essere “scelto”, tende ad avere come conseguenza l’essere ignorati.
- Quando ci si arrovella il cervello su un problema molto importante e nonostante tentativi insistenti non si riesce a venirne fuori, si ha l’impressione di essere “incapaci” e da lì può conseguire un senso di disprezzo di sé. Il “problema molto importante” può essere anche quello della ricerca della “chiave” della felicità o della serenità.
- Per un uomo giovane, o anche una donna, la mancanza di una relazione sessuale e/o sentimentale può dare la sensazione deprimente di non avere valore, come se il senso del proprio valore potesse essere conquistato solo attraverso il rispecchiamento negli occhi amorevoli e ammirati della propria donna o del proprio uomo. Il ragionamento esplicito o implicito “Io valgo se ho valore per una donna/uomo” si rivela psicologicamente giusto. Non è così per tutti, ma per molti sì; la mancanza di una relazione amorosa porta alla depressione e all’avversione per se stessi. Del resto è attraverso il legame primario di attaccamento con la madre (o altra figura di accudimento), quindi attraverso il primo legame di amore, che l’individuo sviluppa il sentimento fondamentale della fiducia in sé e nelle proprie qualità. È difficile che questo sentimento, questa solidità, siano dati una volta per tutte: è necessario che ci siano nuove conferme nell’arco della vita. Pertanto il sentimento della propria “consistenza” personale - solidità, fiducia e quindi anche apprezzamento implicito di sé - è per sua natura il riflesso di una relazione positiva, e non può essere generato autonomamente dall’individuo dal proprio interno. Da questo pinto di vista il motto, tanto di moda di questi tempi, per cui “bisogna stare bene con se stessi prima di impegnarsi in una relazione amorosa”, se preso in senso assoluto, è paradossale; non si può stare bene con se stessi se non si è amati.
- L’eccessiva concentrazione su di sé porta a vedersi come un problema insolubile, assillante, fastidioso, nauseante. Qui il senso di disvalore personale ha i connotati della perdita di interesse per un oggetto - se stessi - che si manifesta troppo a lungo con le sue solite caratteristiche, le sue solite mancanze, i suoi soliti problemi.
- La stagnazione personale, ovvero il fatto di non dedicarsi ad attività interessanti, coinvolgenti, entusiasmanti e di non conoscere persone interessanti, coinvolgenti, entusiasmanti. In questo modo ci si spegne, si perde di vitalità. Quando una persona non prova interesse per qualche aspetto della vita e delle relazioni, può finire per attribuirsene la colpa: “Sono io che sbaglio qualcosa, che non sono capace di vivere” e a questa considerazione possono seguirne altre che confermano il senso della propria mancanza.
Nell'esperienza comune quando si ottiene invece la conferma di “valere”?
L'orgoglio e la soddisfazione di sé nascono in genere da situazioni come le seguenti.
- Quando si è efficaci, sia nella prestazione sia nell’apprendimento: fare qualcosa, capire qualcosa, progredire in qualcosa, imparare qualcosa…
- Quando si è rispettati da persone che si rispettano
- Quando si è apprezzati da persone che si apprezzano
- Quando si è amati da persone che si amano
- Quando ci si rinnova