Tutti o quasi scolliamo ogni giorno i feed di social come Facebook, Instagram, TikTok - anche per ore. Ma siccome ognuno posta di preferenza i suoi lati e momenti migliori, più gioiosi e più avventurosi, più guardiamo contenuti social più ci sentiamo peggiori, tristi e meno avventurosi della massa indistinta de GLI ALTRI. "LORO sono felici, IO no".
Ma questa sintesi grossolana è completamente sbagliata. Non solo perché non ha senso paragonarsi a un blocco di persone - e tanto meno a tutte le persone - ma anche perché il paragone andrebbe fatto sulla generalità dei reali vissuti interiori, non sui ritratti ritoccati di brevi istanti di felicità, reale oppure recitata appositamente per comparire su un social in mezzo ad altri simulatori.
Come funzionano veramente le esperienze di felicità, gioia, soddisfazione, da una parte, e quelle opposte di sofferenza, dolore, infelicità?
Una persona che ha fatto una riflessione sulle dinamiche del piacere, della noia e della sofferenza tutt’ora impareggiabile per onestà, acume e completezza è Arthur Schopenhauer. Ciò che ha scritto in proposito nella sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione, è stato nella sostanza confermato dalla ricerca psicologica, per quanto sia in genere considerato eccessivamente pessimistico e in parte a ragione. Eccone una supercondensato in punti.
- LA VITA SCORRE TRA IL BISOGNO E LA NOIA. “Ogni vita umana trascorre completamente fra il volere e l’ottenere. Il desiderio è per sua natura dolore: il raggiungimento genera presto sazietà; la meta era solo apparente, il possesso toglie lo stimolo, il desiderio e il bisogno tornano a presentarsi sotto una nuova forma. Altrimenti seguono monotonia, vuoto, noia, la lotta contro i quali è altrettanto tormentosa di quella contro il bisogno”. Quindi la gioia, la soddisfazione, la felicità hanno natura essenzialmente negativa e transitoria essendo legate alla scomparsa di uno stato di mancanza, dolore, tensione. Non esistono piaceri positivi, se non quelli di natura contemplativa legati al piacere della conoscenza e al godimento dell’arte, in particolare la musica. Io aggiungerei qualche altra categoria, come per esempio lo sport.
- IL DOLORE E’ ESSENZIALE ALLA VITA. “Per quanto la natura e la fortuna abbiano potuto fare, chiunque si sia e qualunque cosa si possieda, non è possibile liberarsi dal dolore, essenziale alla vita. … Gli sforzi incessanti che si fanno per bandire la sofferenza non riescono a fare altro che mutarne la forma. Questa in origine è mancanza, bisogno, preoccupazione per il mantenimento della vita. Se, cosa assai difficile, si è riusciti a cacciare il dolore in questa forma, esso si presenta in mille altri, cambiando secondo l'età e le circostanze, come istinto sessuale, amore appassionato, gelosia, invidia, odio, angoscia, orgoglio, avarizia, malattia eccetera. Se, infine esso non può trovare adito in nessun’altra forma, allora giunge nella triste e grigia veste del disgusto e della noia.
- ACCETTARE IL DOLORE. “...passare dall’idea di esser causa della propria sofferenza all’idea che essa sia parte inevitabile della vita: se diventasse un vivo convincimento, tale riflessione potrebbe conferire un’importante imperturbabilità stoica e diminuire di molto l'angosciosa apprensione per il proprio benessere”. “Gli sforzi incessanti per mettere al bando la sofferenza non servono ad altro che a mutarne la forma”.
- DESIDERARE CON MODERAZIONE E CERCARE STIMOLI. “Il fatto che il desiderio e l'appagamento si susseguano senza intervalli troppo corti o troppo lunghi - così che lo stato di bisogno e quello di noia non compaiano - diminuisce enormemente la sofferenza che entrambi procurano e costituisce la vita più felice”. Una via per la riduzione dell’infelicità è “l’annullamento della volontà”, che è possibile conseguire solo per brevi momenti; è uno stato che si può coltivare con la meditazione (per es., mindfulness), quando ci si predispone all’atteggiamento di accettazione curiosa verso la propria esperienza, quale che essa sia.
- UN ETERNO CICLO. La gioia, la soddisfazione, la felicità sono transitorie, passeggere; poco dopo si torna al proprio livello normale di sofferenza/benessere. Dopo una grande gioia si precipita in uno stato di infelicità; è come se non si potesse scendere dalla vetta se non precipitando.
- LA MISURA COMPLESSIVA DEL DOLORE E DEL BENESSERE DIPENDE DA FENOMENI SOGGETTIVI INTERIORI. “Ora, quantunque il grado della nostra serenità o tristezza non sia sempre lo stesso, noi … attribuiremo questo fatto non al cambiamento delle circostanze esterne, bensì a quello dello stato interiore, delle condizioni fisiche. Infatti, quando ha luogo un aumento effettivo della nostra serenità, benché sempre soltanto temporaneo, fino a raggiungere addirittura la gioia, esso è solito presentarsi senza alcuna causa esterna. È pur vero che noi vediamo spesso nascere il nostro dolore solamente da un determinato fatto esteriore e siamo visibilmente oppressi e rattristati solo da questo; allora crediamo, che se esso fosse eliminato, dovrebbe presentarsi la massima contentezza. Ma ciò è un'illusione. La misura del nostro dolore e benessere è, in complesso, secondo la nostra ipotesi, determinata soggettivamente ad ogni istante e, in rapporto ad essa, quel motivo esteriore di afflizione, è ciò che per il corpo è un vescicante, verso cui sono attratti tutti gli umori cattivi, altrimenti ripartiti”.
- ANIMO LEGGERO/PESANTE. Il livello di sofferenza/benessere possibile per ognuno potrebbe essere legato al temperamento personale e le persone che soffrono di più sono anche quelle che gioiscono di più.
- LA CAPIENZA PER IL DOLORE. Inoltre i dolori non si sommano, ma c’è una sorta di capienza massima personale superata la quale non si soffre di più.
Interessante, vero? Se vuoi approfondire, puoi leggere il quarto libro de Il Mondo come volontà e rappresentazione. È da lì che ho tratto le citazioni. Lo si trova anche in pdf in rete.
CONCLUSIONE
I social sfruttano la nostra brama di gratificazioni. Lì cerchiamo e troviamo tante piccole dosi di eccitazione e la conferma di piacere agli altri. Se li usiamo troppo, finiamo per sentirci male: fuori dai social la gratificazione richiede desiderio, impegno, attesa - e alla fine non è neppure certa e, semmai, è transitoria. Fuori da lì ci sentiamo soli, diversi nella nostra unicità, carenti, tristi. Ed è ciò che in effetti tutti a un certo livello siamo. La felicità e la realizzazione, date una volta per tutte, fisse e uniformi, così come le rappresentiamo nei social, sono solo finzione. La ricerca della propria felicità è impresa serissima, impegnativa e incerta - e i social, se manca il senso critico e la disciplina, la ostacolano.
(c) Gabriele Lo Iacono 2024