Recensione di "Psicologia degli sport estremi. La vita nelle mie mani", di Anna Brunori



"La cronaca di queste ultime settimane ha dedicato molto spazio alla vicenda della speleologa rimasta prigioniera nelle viscere della terra. I commenti sui social sono stati numerosi e con poche eccezioni possono essere riassunti nella brutalità concisa di “Se l’è andata a cercare” a cui fa eco “Chi gliel’ha fatto fare?”. Credo che in pochi si rendano conto che tali commenti racchiudono un valore scaramantico personale: io quelle cose non me le vado a cercare e dunque non morirò in un cunicolo sotto terra. È l’ennesima occasione mancata per riflettere su una verità che facciamo di tutto per allontanare dal nostro orizzonte: non correrò il rischio di morire così, ma comunque morirò perché la morte è inscritta nella vita.


Il libro di Gabriele Lo Iacono Psicologia degli sport estremi. La vita nelle mie mani è uscito in libreria poco prima che la vicenda della speleologa riportasse l’attenzione, almeno per qualche giorno, sulle imprese estreme. Fin dalle prime righe l’autore fa esplicito riferimento alla sua esperienza di psicoterapeuta che lo mette in relazione con pazienti che praticano l’arrampicata su vie alpinistiche. 

Freud ci ha insegnato che siamo tutti dei bugiardi quando si tratta di scandagliare le motivazioni profonde che ci inducono a certi comportamenti. Succede anche quando con profonda onestà siamo convinti di essere sinceri. Come se non bastasse, siamo molto abili a cancellare le tracce che potrebbero essere di aiuto per lo psicoterapeuta a cui ci siamo affidati per comprendere il nostro malessere. È difficile interpretare i puntigliosi racconti di un vissuto impegnativo o ricavare indicazioni da un ostinato silenzio che in teoria potrebbe essere più eloquente di qualsiasi approccio logorroico. 

Gabriele Lo Iacono è questo che affronta nella sua prassi terapeutica. Parte da un dato di fatto statistico, la pratica degli sport estremi è un fenomeno globale importante e in aumento con un notevole impatto sociale ed economico. Al centro della prestazione estrema ci sono action cam, internet e cellulare: quest’ultimo serve a filmarla, rivederla e diffonderla sui social. Una volta postata viene vista e inoltrata da chiunque, diventando oggetto di forti reazioni emotive e stimoli per l’emulazione. Preso atto che la pratica degli sport estremi riguarda un numero sempre più consistente di persone, la domanda corretta a cui cercare di rispondere non è chi glielo fa fare, ma perché lo fa. 

Esiste ormai una vasta e impegnativa letteratura sull’argomento nella quale Gabriele Lo Iacono si muove con padronanza e competenza ed è in grado di accompagnare a una comprensione seria del fenomeno anche chi non possiede le strutture teoriche di un addetto ai lavori. Il percorso compiuto dagli psicologi e dai sociologi interessati all’argomento è di notevole interesse a partire dagli studi di Albert Bandura a cui va il merito di avere proposto una cornice teorica utile alla sistematizzazione delle motivazioni in gioco nella scelta di pratiche sportive estreme, nonostante il rischio di morte e gravi menomazioni. Uno dei motivi su cui gli studiosi concordano è l’aspettativa riguardante il risultato che una persona spera di ottenere (o di evitare) dedicandosi a tale attività. Vale dunque la pena di provare a muoversi tra le diverse valutazioni sia per arricchire le nostre conoscenze che per renderci conto di quanto complesso e impegnativo sia lo studio riguardante questi argomenti, ben lontano dal poter essere racchiuso in una formula sbrigativa. 

Consapevole delle difficoltà in cui incorre chi non possiede conoscenze specifiche Gabriele Lo Iacono rende più accessibile l’argomento. “Per maggiore chiarezza vediamo attraverso un esempio quali possano essere gli effetti psicologici dell’avvicinamento a mete importanti. Lasciamo perdere per il momento gli sport estremi e pensiamo a un uomo qualunque, che possiamo chiamare Giorgio, e che fa un lavoro che gli piace. Vediamo che cosa succede nella sua mente un giorno che riesce a essere particolarmente produttivo, cioè un giorno di successo lavorativo.” Si sente soddisfatto, ha pensieri positivi sulle sue doti, non ha dubbi sul fatto che gli altri esprimano giudizi positivi su di lui. “Anche se è vero che lui non si cimenta con attività pericolose per la sua integrità fisica e che il suo allenamento non riguarda il corpo ma lo svolgimento della sua attività lavorativa, le conseguenze generali sul piano dell’umore, del benessere, della fiducia in sé, dell’autoaccettazione e dello slancio energico e positivo verso il futuro e le altre persone sono simili”. Queste considerazioni mi sono sembrate fondamentali perché riportano nella direzione della quotidianità il possibile raggiungimento di una condizione di serena e propositiva accettazione di ciò che siamo. È quell’amor fati che lungi dall’essere un fatalismo sterile ci aiuta ad accettarci realisticamente per quello che siamo e proprio a partire dalla nostra realtà ci induce a individuare obiettivi che possiamo raggiungere con un impegno fattivo e fiducioso nei nostri confronti e nei confronti delle persone con le quali condividiamo la nostra esistenza. A conclusione di un lungo e impegnativo percorso Gabriele Lo Iacono afferma che il performer estremo “tendenzialmente potrebbe essere una persona che ha un cattivo rapporto con la propria paura, le proprie debolezze, le proprie vulnerabilità e l’emotività e che attraverso lo sport estremo nega e compensa i limiti che percepisce in sé”. “Non possiamo fare nulla per sottrarci alla malattia e alla morte in prima e in seconda persona. Anzi se non vogliamo fare qualcosa per non anticiparle inutilmente, possiamo astenerci dalle prestazioni inutilmente pericolose”.


Gabriele Lo Iacono travalica la riflessione sugli sport estremi e si apre a orizzonti più vasti: si mette accanto a noi impegnati nel complicato tentativo di trovare una qualche risposta onesta alle domande di senso che accompagnano la nostra mai interrotta ricerca di autenticità.


Anna Maria Brunori

Laureata nel 1969 presso l’Università degli Studi di Urbino in Lettere Moderne, ha insegnato nei trienni delle superiori italiano e storia. Negli anni Ottanta ha organizzato la rassegna "Il gusto dei contemporanei" (che ha fatto incontrare gli studenti con Italo Calvino, Primo Levi, Moravia, e tanti altri autori italiani) e inoltre ha fatto parte della redazione dei "Quaderni del gusto dei contemporanei". È stata tra le fondatrici e fondatori dell’Università della terza età Giulio Grimaldi, di cui è stata prima presidente.