L'esperienza della morte



Ho trovato in questo libro di Paul Ludwig Landsberg - filosofo ebreo morto in un lager nazista - le cose di cui avevo bisogno in un momento di lutto. Ho trovato un discorso che parlasse di spirito e che si rivolgesse al mio spirito. Un discorso che parlasse di vissuto privato, di soggettività, di interiorità, di drammi esistenziali anziché di teorie scientifiche, oggettività, comportamenti osservabili, teorie evoluzionistiche o psicologiche.

Ho trovato un discorso che ponesse come elementi costitutivi dell’essere:

  • le relazioni. La comunione con gli altri ci costituisce. La cessazione di questa comunione ci disintegra. Per questo c’è bisogno di rapportarsi in modo diverso, spirituale, con i propri morti. È necessario continuare a essere in relazione con loro;
  • il bisogno di permanenza del proprio spirito e dei legami. Per la permanenza, l’immortalità del proprio spirito ci sono considerazioni interessanti da fare con filosofi he ho letto recentemente, come Tolstoj, Kierkegaard, ma credo primo tra tutti Platone. Quanto al bisogno di permanenza dei legami, Dio nella sua eternità rappresenta la stabilità. Il rapporto con Dio può essere eterno - e in Martin Buber (chassidismo) lo si trova in sé, nella propria armonia interiore, che può essere ricostruita ogni volta che va perduta, seguendo il filo dei sentimenti più profondi.  Per i legami recisi c’è il culto dei morti, la fede nell’aldilà.

Ho tratto alimento da un discorso che inquadra il corpo come qualcosa di difficilmente collocabile nella fenomenologia dell’esperienza di sé, come un vincolo che, se dà un lato dà l’occasione e la collocazione per essere, permane tutta la vita come qualcosa con cui si litiga, si lotta e può provocare l’interruzione dell’essere con la morte del corpo.


Ho trovato parole di speranza - contrapposta a disperazione - in cui la speranza è intesa come aspetto costitutivo dell’essere. Non è speranza di qualcosa. Si nutre di sé.


Filosofo tedesco (Bonn 1901 - Orianenburg, Berlino, 1944). Allievo di Scheler, fu prof. nell’univ. di Bonn; di famiglia ebrea, con l’avvento del nazismo si rifugiò inizialmente in Spagna e, in seguito, in Francia, a Parigi da dove fu deportato nei campi di sterminio nazisti. L. è uno dei maggiori rappresentanti del personalismo, la sua riflessione si ispira alle tematiche del pensiero esistenziale cristiano e, in partic., di Agostino, Pascal e Kierkegaard. Concentrandosi sulla considerazione e analisi della persona, della propria esistenza e della relazione con Dio, L. sottolinea il contrasto, connaturato all’esistenza stessa, tra la consapevolezza dei limiti della individualità e l’innata e ineliminabile aspirazione umana all’infinito e all’eterno, che soltanto la morte sembra realizzare (Da https://www.treccani.it/enciclopedia/paul-ludwig-landsberg_(Dizionario-di-filosofia)/)