La rappresentazione della mancanza di idee


A volte lo scrittore e il pittore sono a corto di ispirazione - non trovano nulla di degno di essere rappresentato - e allora raccontano con la loro opera che si trovano in questa situazione, e con questo credono di avere creato comunque un’opera d’arte. Riempiono la pagina e la tela di parole o segni inutili per sé e per il fruitore. Al fruitore potrà sembrare buffo le prime volte, ma le sperimentazioni di questo tipo non sono più nuove e originali. Ammetto che nel non dire possa esserci uno stile personale, che può essere anche interessante, e persino divertente, e confesso che in definitiva a me a volte interessa conoscere la “voce” di un autore, il suo modo di esprimersi, più che il contenuto del suo discorso; ma, alla fine, dire che non si ha niente da dire equivale a non dire, e una volta conosciuta la voce dell’autore non desidero sentirla una seconda volta se non mi ha lasciato qualcosa. 


E credo che ci sarebbe molto da lasciare e da dire; per esempio, mostrando un percorso di conoscenza di sé o raccontandosi agli altri e facendoli sentire meno soli, meno confusi, sprovvisti, smarriti davanti alla vita o intrattenendoli con idee brillanti, o affascinandoli con la presentazione di mondi sconosciuti, inconsueti, o anche facendoli ridere o eccitare o intenerire! Illuminandoli o aprendo loro gli occhi! Testimoniando mondi o esperienze…


A volte gli autori che "dicono di non sapere che cosa dire" padroneggiano molto bene il proprio mezzo espressivo. Però manca loro l’ispirazione. Penso per esempio a due bravi pittori che conosco (di uno possiedo due quadri figurativi molto belli!). Uno dipinge magari un bicchiere pieno di mozziconi di matite bianche sospese in aria su sfondo grigio uniforme; l'altra dipinge una coppa di cristallo impreziosito da una lavorazione geometrica complessa, e tuttavia molto diffusa, con dentro un paio di fiori su sfondo rosa uniforme. La resa è pressoché indistinguibile da quella di una fotografia. È come se questi abili pittori mi dicessero: col pennello posso creare tutto ciò che voglio. Va bene, vorrei rispondere, ma quand’è che troverai un soggetto degno delle tue capacità?


Io sono ammirato per la capacità tecnica, ma mi chiedo: per te questo è bello o interessante? O invece è una specie di triplo salto mortale che dice solo quanto sei bravo/a? E mi chiedo anche: non avevi qualcosa da raccontarmi? Se non del mondo esterno, magari di te? Vorrei dire: fammi vedere una cosa che ti ha colpito! Fammi vedere una cosa bella o curiosa o inconsueta, rara! Oppure raccontami con la tua voce una storia comune! Che cosa ti fa impazzire di rabbia, di dolore, di gioia? Che cosa speri? Che cosa ammiri? Che cosa ti commuove o ti esalta? Invece niente, silenzio. Peccato. 


In campo letterario il primo esempio che mi viene in mente è una recente lettura abbandonata dopo poche decine di pagine: Yoga di Emmanuel Carrère. Un libro scritto in modo molto scorrevole, ma insopportabile per il contenuto. Pagine e pagine in cui l’autore cerca qualsiasi pretesto per dire qualcosa, senza pudore, disposto a tutto pur di mettere in mostra sé, un sé vuoto, bloccato, insicuro, tormentato, ma che pur nella banalità dei motivi, dei piani e dei sentimenti si considera molto interessante. Un sé falso. In definitiva si tratta di un comune narcisista che non si comprende e inconsapevolmente mette in scena il suo insaziabile desiderio di essere visto e considerato speciale. L’autore, se non sbaglio, è stato anche denunciato dalla ex moglie proprio per avere messo in piazza i fatti della sua vita coniugale, peraltro diffamando e fornendo una rappresentazione tendenziosa dei fatti. Quindi è racconto inconsapevole delle proprie miserie, della propria infelicità non decifrata e tuttavia millantata, raccontata da un mitomane. Se questa infelicità fosse stata raccontata e compresa onestamente, per me sarebbe stata interessante.


Che il racconto del nulla sia frutto di un’autocensura? Forse manca il coraggio di approfondire ciò che sta veramente a cuore perché non lo si ritiene degno di rappresentazione - finendo così per dare un falso spettacolo della propria intimità, come in un reality show? Forse mancano i mezzi per raccontare ciò che sta veramente a cuore; non quelli espressivi, ma quelli analitici? Forse si vuole imitare un modello?


Potrebbe trattarsi di un particolare modo di intendere la funzione dell’arte seguendo il filone del non dire: ci si mostra mortalmente annoiati, si allude al “tutto è già stato detto”, si fa la massima attenzione a NON rappresentare, non significare? Se è così, per quanto potrà essere interessante e divertente sentire milioni di voci mute? Che cosa diventa la lettura di questi testi? Lettore annoiato, disilluso e abulico che legge svogliatamente un testo privo di contenuto con lo stesso interesse con cui sbircia dalla finestra una giornata di nebbia e pioviggine? 



(C) Gabriele Lo Iacono 2025



www.gabrieleloiacono.it